La musica della neve. Piccole variazioni sulla materia bianca
di Davide Sapienza
Ediciclo editore
Ci sono libri che spostano di qualche centimetro l’asse del nostro stare, che raccontano quello che non si vede più di quello che sta davanti agli occhi. Questo per me è il caso di questo piccolo libro che, anche per la sua consistenza minima, pare sia fragile come la neve e il bianco.
Non è un trattato, non è racconto. Qui, in queste novanta pagine più o meno, si sussurra una magia che è insieme illusione e utopia, grandezza e disperazione. Sapienza calpesta la neve, mangia i suoi fiocchi, chiude gli occhi per ascoltarne il silenzio. Per farne e farsi silenzio.
E’ un viaggio dentro se stessi, nella solitudine di un elemento che va oltre lo spazio e il tempo. Certo, l’autore racconta di quando quella volta in Islanda o della prima volta o di altri aneddoti. Ma sono righe che escono dalla cronaca per abbracciare l’altrove che, forse, è proprio solo della neve (e non della pioggia, del vento o del sole).
“Nella neve penso al mare perché ho sempre l’illusione di essere irraggiungibile e anche se capita la bonaccia bianca, ebbene, che essa sia. Stare con la materia bianca è attraversare la terra che la ospita e nel farlo, i sensi vengono catturati e la mente sedata”.
Sono alcune righe finali di un pezzo che racconta il whiteout, quella sensazione di straniamento che colpisce l’autore in mezzo al bianco. Sono pagine di assoluta delicatezza, di carezze con la mano fredda di ghiaccio. Mi hanno riportato di peso dentro il walkabout di Chatwin, dentro quel camminare per perdersi, per ritornare all’origine delle cose, là dove il bianco non è più un colore.
Mauro, un sincero grazie per essere venuto a perderti nel “biancofuori” con le creature dell’altrove…augh